Coming out, di Denis Parrot, Francia (2018 – uscito in Italia nel 2021)

Il Film raccoglie testimonianze condivise in rete e scelte dall’autore che ha preso in considerazione filmati di ragazzi e ragazze nel momento in cui comunicavano ai familiari la loro omosessualità decidendo di rendere pubbliche le immagini tramite internet. Si tratta di 19 testimonianze (tra il 2012 e il 2018) scelte tra oltre milleduecento. Già questo elemento introduce motivi di riflessione sul ruolo che possono avere la dimensione pubblica e quella privata, non a caso l’autore introduce il film scrivendo “quando ero giovane internet non c’era”.

Personalmente mi è molto piaciuto lo stile dell’autore che ha utilizzato un montaggio asciutto e privo di fronzoli, limitandosi a introdurre le testimonianze con il nome e la provenienza dell’autore ed effettuando dei piccoli tagli, appena intuibili, in modo da lasciare gli elementi, credo da lui ritenuti più significativi, con il risultato di rendere la comunicazione molto efficace.

I racconti presenti, ma anche i dialoghi e le interazioni, sono carichi di emotività e, personalmente, li ho trovati molto autentici, nonostante la presenza virtuale di un pubblico. In alcuni casi mi hanno ricordato i momenti nei colloqui in cui i pazienti riescono a “mettere in parola” vissuti, conflitti e sofferenze emotive e psichiche. Mi sembra che il merito di questo film sia proprio quello di consentire un avvicinamento soprattutto alla dimensione interiore di chi vive una difficoltà nell’individuazione di genere mostrando il disorientamento di chi lo vive in prima persona. Guardando il documentario mi hanno colpito diversi elementi che credo possono essere da stimolo a una riflessione più approfondita legata alla nostra professione.

La prima cosa è stata la consapevolezza, riferita da quasi tutti, delle difficoltà a riconoscersi nel sesso biologico, che viene avvertita fin da bambini. Da lì in poi viene raccontato un crescendo di distanza tra ciò che viene fatto per rientrare nelle aspettative genitoriali e contemporaneamente prendere atto di ciò che si sente. Il conflitto, giunti in adolescenza, in alcuni racconti assume forme intollerabili e, da questo punto di vista, il “coming out” rappresenta l’evoluzione naturale e più “sana”, almeno per i protagonisti del film. Ciò rende evidente a mio parere la vera natura del “coming out”, ovvero un’operazione molto più importante per chi la fa che non per i familiari o per tutto il resto del mondo che può vederla su internet.

Per ogni individuo il processo di individuazione porta con sè il dover fare i conti con la relazione genitoriale con tutto ciò che comporta e con tutti gli aspetti di cui non si è consapevoli, ma la visione di questo film mi ha messo di fronte, in una maniera che non avevo mai colto nemmeno con pazienti omosessuali, quanto possa essere disorientante per un bambino, ovvero in una situazione dove la sessualità, il desiderio e l’attrazione non hanno un ruolo adulto, l’idea che da grande non sarà possibile assomigliare ne a mamma ne a papà. Alcuni dei protagonisti riassumono questo concetto esprimendolo con affermazioni del tipo “mi sentivo sbagliato/a” aggiungendo un elemento di giudizio che alimenta ulteriormente il disagio e la sofferenza psichica ma finendo per rendere efficace la descrizione di questo vissuto.

(Marco Sangiorgio)