In un mondo migliore – regia di Susan Bier (2010)

Il film affronta il tema della violenza, che si presenta a volte in modo scoperto, a volte più sotterraneo: può avere la forma estrema di un dittatore e dei suoi crimini, o quella più conosciuta del bullismo, fino alle reazioni premeditate di un ragazzo che non riesce a superare il dolore della perdita della madre. L’unico modo per contrastare la violenza è contrapporle la scelta etica del singolo, con la ferrea volontà di non cedere di un passo di fronte al suo orrore, in qualsiasi forma essa si manifesti. E’ questo che tenta di fare Anton, medico che divide la propria vita tra la drammatica missione in Africa, dove fronteggia continuamente l’orrore dei crimini e la morte, e la sua vita in Danimarca, dove vivono i due figli con la madre, a sua volta medico. Separato dalla moglie, l’uomo testimonia la propria scelta morale non solo ai suoi figli, ma anche all’amico di questi Christian, preadolescente che si ribella all’”ingiustizia” vissuta a causa della morte della madre, ponendosi programmaticamente come vendicatore di tutte le ingiustizie, con un atteggiamento basato sul rancore e sulla volontà di vendetta, e finisce con il superare ogni limite, fino a porre in pericolo la vita propria e altrui.

Il figlio dell’altra – regia di Lorraine Le ́vy (2012)

Joseph, un ragazzo israeliano che sogna di diventare musicista, si presenta alla visita militare, nella quale si scopre che il suo gruppo sanguigno non è compatibile con quello dei genitori. Dopo un momento di grave disorientamento e tensione nella coppia di genitori, le ricerche rivelano che diciotto anni prima, nel caos di uno scontro militare tra ebrei e palestinesi, c’è stato uno scambio di neonati tra due madri – una ebrea e una palestinese – che hanno partorito nello stesso ospedale. La rivelazione getta nello sconcerto e nel disorientamento le due famiglie, ed è di grande interesse osservare le diverse reazioni individuali a questa scoperta, dal rifiuto da parte del fratello di Yacine (il ragazzo ebreo cresciuto con la famiglia palestinese), alla resistenza dei due padri, ciascuno portavoce del dolore e della storia dei rispettivi popoli, all’apertura dolorosa ma salda delle due madri, che cercano di trovare punti di contatto tra sé ed “il figlio dell’altra” e tra le due famiglie. Con grande sensibilità vengono delineati la complessità dei punti di vista, le contraddizioni, il dolore e la fatica di riconoscere e integrare aspetti di sé imprevedibili, senza perdere quelli noti: processo che comunque – come in tutte le situazioni che hanno a che fare con un “doppio”, come l’affido, l’adozione, l’emigrazione – porta alla fine ad una crescita e ad un arricchimento, se la logica di “congiunzione” riesce a prevalere sulla logica di “esclusione”.

Il pranzo di Babette – regia di Gabriel Axel (1987)

Martina e Filippa, due sorelle nubili di una certa età, figlie di un austero pastore luterano, vivono in uno sperduto villaggio della costa danese dello Jutland e seguono gli insegnamenti del padre decano. Due incontri fortuiti con il grande mondo avevano attraversato inaspettatamente la loro gioventù – un ufficiale degli ussari aveva corteggiato per breve tempo Martina, ma non aveva poi saputo rinunciare alla seduzione della vita di corte; un famoso cantante lirico francese, colpito in chiesa dalla straordinaria voce di Filippa, ottenne dal padre il permesso di impartirle lezioni di canto, ma la giovane ebbe paura della prospettiva di divenire un’artista dell’Opéra di Parigi e rinunciò alle lezioni. Passano molti anni: il pastore è morto, le due sorelle vivono occupandosi dei poveri del villaggio. Durante una notte di pioggia bussa alla loro porta una giovane donna francese, Babette, con una raccomandazione scritta dal cantante lirico, antico mentore di Filippa: egli chiede alle due sorelle di ospitare questa donna che ha perso il marito e figlio nella rivoluzione parigina, in cambio di un lavoro di governante. Babette si inserisce discretamente nella vita della casa e del villaggio, e vive una vita ritirata fino a quando vince un premio di diecimila franchi alla lotteria di Parigi. La donna ha già deciso cosa farà della vincita: vuole offrire un pranzo alla francese alle sue benefattrici e ai loro discepoli, per la ricorrenza della nascita del decano. La donna si allontana per qualche giorno e ritorna con cibo raffinato e vini prelibati. Le due anziane signorine, terrorizzate, temono che l’eccesso e il peccato possano traviare la piccola comunità e chiedono ai discepoli di rimanere fedeli alla loro morale puritana. Nonostante l’esplicita opposizione delle sorelle e la resistenza dei commensali, Babette – in realtà la straordinaria chef del Cafè Anglais di Parigi – coglie l’irrepetibile occasione di attualizzare il desiderio di tornare ad essere, per un giorno, la celebre chef che era stata prima della rivoluzione.

(a cura di Ondina Greco)